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Un Natale “Fai da te” alla Giudecca

27 Dicembre 2003 by Natale Salvo

TRAPANI – La giunta Fazio ha deliberato 200.000 per le luminarie natalizie – Ma ha “dimenticato” di collocarle in diverse parti della Città – In qualche via lo spirito d’iniziativa degli abitanti ha bilanciato l’inefficienza dell’Amministrazione.Le feste arrivano per tutti, ricchi e poveri, così gli abitanti di Via Giudecca hanno pensato di dare un tocco di colore e di spirito festivo alla loro storica via.

Hanno sistemato fili di semplici luci colorate e cordicelle che vanno da una parte all’altra della strada, ornate di bicchieri rossi di plastica a mo’ di campanelle e di piccoli pacchi variopinti.

La visione è gradevole e lo spirito di iniziativa di questo quartiere dimostra come nel cuore dei suoi abitanti le feste sono sentite in maniera semplice e profondamente umana.

La Giudecca, un quartiere storico ben noto ai trapanesi che, malgrado il ben visibile degrado ambientale, conserva ancora oggi quasi intatta una memoria storica che ci ricorda gli ebrei di Trapani, espulsi dalla città nel 1492, a seguito di un editto emanato da Ferdinando il Cattolico, re di Spagna.

Ce ne parla in un breve libretto pubblicato da poco Francesco Giacalone il quale ci riferisce che ”i primi riferimenti storici sicuri ci portano al tredicesimo secolo, ma alcune ipotesi ci lasciano intuire la loro presenza in questa città dal periodo arabo”.

Dimostra, pure, come “molti cognomi di cittadini trapanesi che oggi sono tutti cattolici e battezzati hanno origine ebraica come Sala, Romano, Greco, Cocuzza, Cirino, Asaro, Colomba, Pace, Rubino, Canino (stesura finale di Cuynu, storpiamento linguistico e grafico del nome “Coen”) oppure Samaritano, da Samarea ecc.”.

Gli ebrei trapanesi erano per lo più artigiani del corallo, mercanti che vendevano lo zucchero e la seta siciliana ad Alessandria, da dove importavano cotone, spezie e schiavi, e avevano contatti commerciali con la Tunisia, lavoravano il tonno, forse erano anche salinari e pescatori.

Rifacendomi ad un libro di Nicolò Bucaria, socio dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo ed autore di “Gli Ebrei in Sicilia”, dal tardo antico al medioevo (Palermo, Flaccovio, 1998), risulta che essi vivevano in Sicilia in una condizione di libertà, lontani dai ghetti, invenzione dell’età moderna, e più integrati nella società circostante.

Malgrado siano trascorsi cinque secoli dalla loro espulsione, a Trapani la loro presenza è ancora viva attraverso alcune testimonianze architettoniche: il Palazzo Ciambra dall’architettura gotico moresca è lì, con la sua torre che ci rimanda indietro nel tempo quando era il palazzo senatorio o forse la sede della loro Sinagoga, patrimonio storico-culturale di grande valore che purtroppo giace nell’oblio delle amministrazioni locali, viste le condizioni d’abbandono e di trascuratezza in cui si trova.

“Com’è corta la nostra memoria. E come siamo ingrati talvolta verso chi ci ha preceduto! Prendiamo, ad esempio, le guide turistiche sulla Sicilia. Si compiacciono di snocciolare come in una noiosa litania i nomi di tutti i popoli che hanno via via invaso e dominato l’isola a prezzo di saccheggi e devastazioni, sempre dimenticando gli unici che la posero al centro di una vera e propria civiltà mediterranea”. Parole scritte da Bucaria.

Siamo proprio ingrati nei confronti, non solo di questo popolo ma di tutti i popoli che hanno lasciato tracce indelebili del loro passaggio, che hanno arricchito la nostra città di monumenti e di cultura.

Memoria corta? No. Rotte diverse. Semplice e sfrenata corsa al consumismo, delirio di una società opulenta che fa uso e abuso di piacere multimediali e di tecnologie avanzate, che rincorre solo falsi miti ed è disposta a pagare diversi milioni di Euro per un giocatore o un qualsiasi divo dello spettacolo.

La memoria della presenza giudaica nella nostra città non è per niente scomparsa, basta visitare la Via Giudecca, la Via degli Ebrei e il Cortigliazzo per respirare il bagaglio culturale e spirituale che essi hanno lasciato e le loro tracce continuano anche nella gastronomia (ajada o meglio conosciuta come maionese), in talune espressioni dialettali, in alcune tradizioni dell’artigianato (lavorazione del corallo, del ferro e nelle cose “meccaniche” utili nelle navi) fino al vero, grande, dono di riflessione tramandatoci: la vocazione alla tolleranza e al rispetto delle diversità.

Antonella

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